Un sorso d'acqua

Innanzitutto la domanda base: è meglio bere acqua del rubinetto (o potabile) o acqua minerale? Non è facile rispondere. Tutti sono convinti, anche a causa del bombardamento pubblicitario, che le acque minerali siano in assoluto migliori rispetto a quella del rubinetto. Ma non è così.

Occhio all'etichetta!

Come orientarsi nelle etichette delle acque minerali? Non è cosa facile, per cui vi proponiamo alcune indicazioni semplici da seguire. In generale, infatti, i limiti per i minerali e gas disciolti sono più severi per l´acqua potabile che per quella minerale: per esempio, il nichel non ha l'obbligo di essere segnalato nelle acque minerali, mentre in quelle potabili sì.Ancora, la quantità di arsenico consentita nelle acque potabili è di 50 mg/litro, mentre nelle acque minerali è di 200 mg/litro.In compenso però la quantità di cianuri consentita nelle acque potabili è maggiore di quella consentita nella acque minerali. Poi c´è il vanadio, un metallo che in certe concentrazioni può risultare tossico, e che tra l´altro viene impiegato per fare acciai resistenti alla ruggine [presumibilmente impiegati anche nelle tubature]. Ebbene, nelle acque potabili non può superare i 50 mg/l, mentre in quelle minerali non viene preso in considerazione.

E soprattutto non bisogna dimenticare che per tutti i valori sopraelencati, quelli delle acque potabili sono quelli massimi consentiti dalla legge. Mentre i valori delle minerali sono quelli al di sotto dei quali non c´è obbligo di etichetta: ciò significa che si può trovare in commercio acqua che supera ulteriormente questi valori, limitandosi a segnalarlo.

Ma leggere l´etichetta non è affatto facile. A meno che non si abbia una patologia precisa, che ci obbliga per esempio a stare alla larga dal sodio, o da altri minerali… O una laurea in chimica.

È meglio dunque bere l´acqua del rubinetto? In generale sì: sembra quasi che il Ministero della Sanità abbia stabilito che l´acqua minerale può essere più inquinata di quella del rubinetto. Ma in realtà tutto dipende da dove si abita. Perché se i controlli previsti dalla legge sono severi, non tengono però conto di molti fattori.

Per esempio Ferrara è una delle città più accurate nelle analisi, e ha un depuratore degno di tutto rispetto. Ma, purtroppo per lei e per i suoi cittadini, è situata in fondo al fiume Po, e accoglie, tra l´altro, tutti gli scarichi di una città come Milano, che solo recentemente, dopo una serie di multe della Comunità Europa si sta attrezzando per costruire un depuratore. I bolognesi invece dovrebbero bere un´acqua abbastanza pura, soprattutto dopo avere acquistato una quota importante delle sorgenti di Porretta, storica stazione termale dell´Appennino. Ma le tubature della città sono fatte al 90% di amianto cementificato. E l´amianto è stato messo fuori legge da tempo, in quanto altamente cancerogeno. Firenze prende l´acqua direttamente dall´Arno, che è inquinato dagli scarichi agricoli e civili. Senza contare che anche per quanto riguarda le percentuali dei vari elementi presenti nell´acqua, i limiti imposti per legge non sono sempre quelli ottimali. Per esempio capita che la legge consenta una percentuale di nitrati [il principale indicatore dell´inquinamento dell´acqua] pari a 45 mg/l. Mentre l´Organizzazione Mondiale della Sanità dice che il valore deve essere inferiore a 10.

Insomma, bere un sorso d´acqua, il gesto più naturale del mondo, può essere una scelta gravida di conseguenze. Per la nostra salute in primis, ma anche per le nostre tasche, e per le tasche degli altri. Intorno alle acque minerali infatti si muove un giro d´affari di più di 2500 miliardi di euro all´anno.

Gli italiani sono il popolo europeo che consuma più acqua minerale, con 11 miliardi circa di litri di acqua nel 2002, e una media di 160 litri a testa. E il consumo è in costante aumento. Parallelamente all´aumento dei consumi, si assiste anche a altri fenomeni: anche il numero delle marche cresce costantemente [nel 1999 erano 266, mentre nel 2001 si avviavano a superare la quota 280]. Ma le unità produttive continuano a calare: i 1700 milioni di euro del 2001 sono affluiti soprattutto nelle casse delle 5 aziende che controllano da sole il 70% del mercato: Nestlè, Danone, San Benedetto, Uliveto e Rocchetta.